Cambio vita, il Covid e le scelte che non avremmo mai pensato di fare
Vita #Vita
Claudia, 33 anni, viveva a Milano da quando ne aveva 19. Prima gli studi universitari, poi il lavoro l’avevano convinta che Milano fosse proprio la sua città del cuore. «Facevo una vita senza orari ma mi piaceva: lavoravo in continuazione, urgenze senza sosta, uscivo dall’ufficio e andavo a bere qualcosa con i colleghi e mi dicevo sempre “A Faenza non tornerei manco morta”. Ed oggi eccomi qui, a Faenza, in mezzo alla natura che non vorrei tornare più a Milano». Ognuno di noi ha una storia simile a quella di Claudia da raccontare: un vicino di casa, un amico, una famiglia che ha scelto, dopo l’emergenza sanitaria, di cambiare vita. Di andare via dalla città, riappropriarsi degli spazi all’aperto, prendere una casa con giardino o vista mare. C’è chi è tornato nel paese d’origine da cui era scappato dopo il diploma, chi invece ha scelto di cambiare completamente lavoro e stile di vita. Scelte che non avremmo mai pensato di fare e che invece, dopo la pandemia, sembrano non solo possibili ma persino diffuse.
Perché il Covid ha sgretolato qualsiasi certezza, anche quelle della nostra vita precedente. Come conferma Claudia, originaria dell’Emilia Romagna: «Mi sono trovata per caso dai miei quando è scoppiato il primo lockdown — racconta —. All’epoca tornavo a Faenza ogni tanto nel weekend ma stavo anche 3-4 mesi senza venire qui. Poi a marzo è cambiato tutto e sono cambiata anche io: all’inizio sono stata molto propositiva sui social, sempre connessa, continuavo a fare quello che facevo a Milano ma da qui. Ora non più, la mia vita è completamente cambiata: sono quasi sempre disconnessa, cerco il silenzio, vado a camminare in mezzo ai campi, ho stabilito una riconnessione con la natura che mai mi sarei aspettata. Continuo a lavorare da Faenza perché l’azienda me lo permette e non so come andrà a finire ma ad ottobre quando sono dovuta tornare nella mia casa milanese l’ho vissuta malissimo, la mia percezione è completamente cambiata».
Valentina e Duccio invece, entrambi 40enni hanno proprio deciso di dire addio alla vita che facevano prima. Lei era un’insegnante di yoga in alcuni centri milanesi, lui fonico per il cinema e la tv. Si sono stabiliti in Liguria l’anno scorso e non sono mai più tornati nel capoluogo lombardo. «All’inzio, quando eravamo qui in Liguria ci sembrava di vivere un momento di sospensione temporale, poi invece è diventata una scelta definitiva, abbiamo trasformato in realtà i nostri “t’immagini che bello” e il Covid ha accelerato un processo di cambiamento che in noi era già latente». Con tanto di terzo figlio in arrivo, a dispetto del calo demografico certificato durante l’emergenza sanitaria. «Avevamo entrambi radici liguri — spiega Valentina — ed eravamo i classici milanesi pendolari del weekend, scappavamo dalla città appena possibile per stare nella natura. Tutti e due amiamo le attività all’aria aperta e ora che è un anno che ci siamo trasferiti, siamo molto felici perché ci sembra finalmente di vivere. Riusciamo ad avere una vita pseudo normale, rischi di assembramento non ce ne sono e godiamo della natura che ci circonda, viviamo una libertà che in città ci mancava e di cui godono anche i nostri figli. Abbiamo scelto una casa immersa nel verde e ora vogliamo trovare una casa grande dove vivere e lavorare insieme, io per continuare a fare yoga, lui per fare il suo lavoro di fonico da remoto. Ma Duccio è anche appassionato di api, il suo sogno è di mettere su un laboratorio per fare miele ed erbe aromatiche e non è escluso che riesca a realizzarlo».
Uno studio commissionato da Citrix alla società di ricerche OnePoll e realizzata su un campione di mille lavoratori attivi sul territorio italiano ha provato a capire le ragioni che potrebbero spingere molti lavoratori e professionisti a “scappare” dalle città per trasferirsi a tempo determinato in un altro posto. Il 57% degli intervistati ha confermato di essere disposto a trasferirsi dalla città a un’area rurale se solo potesse continuare a svolgere il proprio lavoro in modo flessibile e da remoto e il 76% lascerebbe l’abitazione principale se potesse continuare a svolgere la propria professione ovunque. Molte aziende invece continuano a imporre limiti sui luoghi di lavoro, uno smart-working solo sulla carta che spinge tanti dipendenti a non lasciare, per questo motivo, la regione di residenza. Oppure a lasciarla, senza dichiararlo ufficialmente.
Ma la fuga dalle città è un fenomeno non solo italiano: quando, nel novembre scorso, Boris Johnson ha reintrodotto il lockdown in Inghilterra, intorno a Londra si sono formate 2.100 chilometri di coda in ogni direzione. A Parigi, qualche giorno prima, era successa la stessa cosa. A fine 2020 più di 300.000 abitanti avevano abbandonato New York e dal primo marzo al 31 ottobre i residenti della città americana avevano presentato oltre 290 mila richieste di cambio di indirizzo, secondo i dati diffusi dal servizio postale degli Stati Uniti in base a una richiesta del Freedom of Information Act. Ma c’è chi scommette che il numero dei traslochi potrebbe essere molto più elevato. Per le metropoli, si tratta ovviamente di un cambiamento epocale, anche in termini economici: l’Italia quest’anno produrrà 180 miliardi di ricchezza in meno, e di questi circa 23 saranno dovuti al mancato contributo dell’area metropolitana milanese. Soltanto per i mancati pranzi al bar di circa 82 mila lavoratori, Milano perde ogni giorno 195 mila euro. A dispetto di ciò e del grande cambiamento in atto, ci sono alcune cose che invece non sono cambiate affatto come dimostra l’andamento del mercato immobiliare: se le compravendite immobiliari hanno subito un rallentamento del 7,7% nel 2020, i prezzi sono persino aumentati dell’1,9 per cento secondo l’Istat, con il Nord che ha registrato gli incrementi maggiori.
«Io tra il monolocale senza balconi a 800 euro di Milano e la casa con giardino vista mare in Calabria, ho scelto la casa vista mare — racconta Martina Rogato, 36 anni che da ormai sette mesi continua a svolgere il suo lavoro da consulente di sostenibilità per le aziende dal suo paesino d’origine calabrese —. A 18 anni sono scappata per andare in una città che mi offrisse più opportunità, ora sono in una fase sospesa: sono di nuovo qui in Calabria, non ho la mia rete di amicizie, la pandemia non mi permette di ricostruire una nuova rete di relazioni, ma ho i miei genitori e dei ritmi di vita completamente diversi. Più umani: non rispondo al telefono durante il pranzo e la cena e il sole è una risorse unica e costante di buon umore. Sto risparmiando tantissimo nonostante sia una delle poche che non ha avuto il coraggio di lasciare la mia casa milanese, perché spero prima o poi di tornare a viverci».
© RIPRODUZIONE RISERVATA